Rapporto tra fede e scienza: ricerca scientifica, aborto, testamento biologico

L’opinione del Prof. B. FANTINI, direttore dell’Istituto di Storia della Medicina e della Salute di Ginevra.

Può spiegarci in maniera molto semplice cosa si intende per bioetica?
La parola “bioetica” viene dalla fusione di due termini : biologia e etica. La bioetica studia i
problemi di natura morale ed etica che possono essere prodotti da esperimenti, da tecniche
terapeutiche, da interventi sulla natura. Questa disciplina è nata all’interno stesso della
ricerca scientifica, al momento in cui si sono acquisite le tecniche per intervenire sul
patrimonio genetico, per poter valutare l’impatto in tutte le innovazioni biologiche e
mediche sulla società e sulla vita delle persone. Si tratta di vedere se questi interventi
possono interferire con i diritti fondamentali della persona o hanno delle conseguenze
negative sugli equilibri naturali.

Pensa che la bioetica possa essere un freno per la ricerca scientifica?

Non penso che la bioetica sia un freno alla ricerca. Tutti i programmi di ricerca vengono
valutati con molti criteri differenti, come la loro originalità, la possibilità di ottenere risultati,
il loro interesse conoscitivo o pratico. L’aggiunta di un criterio bioetico, nelle fasi
soprattutto di valutazione della ricerca e di applicazione delle conoscenze, non è certamente
un freno. Anzi, questo tipo di riflessioni e di interrogativi può aumentare la necessità di
riflettere meglio sul modo di condurre gli esperimenti e le applicazioni biologiche e
mediche.

Come giudica l’andamento generale della ricerca scientifica in Italia?

Il giudizio sulla ricerca scientifica in Italia in generale è pessimo. Ci sono pochissimi
finanziamenti e distribuiti con criteri poco trasparenti. Inoltre, le possibilità di lavoro per i
giovani ricercatori, che sono invece la fonte essenziale e indispensabile della innovazione
scientifica, sono veramente scarse. I ricercatori rimangono in una situazione di estrema
precarietà sino anche a 50 anni. E’ ovvio che in questa situazione, c’è uno spreco immenso
delle migliori intelligenze creative. Occorre tuttavia ricordare che in Italia, nonostante tutte
queste difficoltà, ci sono centri di eccellenza e le università continuano a formare ricercatori
di livello internazionale, che tuttavia spesso sono costretti ad andare a lavorare all’estero. Le
poche isole felici che esistono e sono riconosciute in campo internazionale non modificano
il quadro generale che è di una grande depressione.

A suo parere perchè nel nostro Paese si spende così poco nella ricerca?
Perché si crede poco all’innovazione, alla possibilità di creare nuovi modi di produrre e di
vivere. E molto più facile acquistare brevetti all’estero, vivere alla giornata e ricercare
risultati immediati in termini economici, mentre la ricerca, per definizione, non può
garantire risultati sempre positivi e spesso richiede tempi lunghi e anche la necessità di
correre il rischio che la ricerca non dia risultato. Questo in un Paese che vuole soprattutto
premiare la produttività immediata del denaro, che scoraggia gli investimenti nella ricerca
scientifica di largo respiro.
Lo scarso interesse per la cultura scientifica è una tradizione negativa dell’Italia ma occorre
dire che la situazione politica e culturale attuale ha ulteriormente aggravato questa
situazione. Le tendenze populiste, che dominano la politica della destra, ma sono presenti
anche a sinistra, vogliono soddisfare le richieste immediate della popolazione, anche le più
basse e deteriori, mentre la ricerca scientifica e culturale richiede tempi lunghi, grande
impegno personale e collettivo. A torto si pensa che gli intellettuali, i professori, i ricercatori
siano un’élite, staccata ‘dal popolo’, qualche volta nemica e moralista, perché invita alla
riflessione, alla critica, all’impegno invece che spingere, come fanno i mass media, alla
soddisfazione consumistica di tutti i desideri, anche i più inutili e negativi. Questo riguarda
non solo la scienza, ma l’insieme della cultura. Ad esempio si dice sempre che l’Italia sia il
paese della musica, e di musica si fa un gran consumo, ma la ricerca musicale, nei
conservatori e nelle università, è trascurata, si spende pochissimo per le attività musicali e
l’insegnamento della musica nella scuola è totalmente assente.
Questo purtroppo si nota in ogni campo, l’Italia è stata nel secondo dopoguerra
all’avanguardia mondiale nella ricerca tecnologica, in particolare nell’elettronica, con
innovazioni potenti, come i personal computer a suo tempo prodotti dall’Olivetti. Ora,
invece gli italiani sono dei consumatori accaniti di tutti i prodotti elettronici ed informatici, i
primi nel mondo per uso di telefonici, ma la ricerca sulle telecomunicazioni e sulla scienza
della comunicazione è nulla.

Parliamo del legame tra fede e scienza? C’è chi pensa che la fede possa essere un
“freno” per la scienza. Eppure molti dei più grandi scienziati del passato e del presente
sono credenti. Quale è il suo parere?

La fede o piuttosto la religione, come sistema politico, diviene un ostacolo alla scienza solo
quando in nome di principi religiosi si cerca di imporre idee oppure di limitare le linee di
ricerca. È vero che molti grandi scienziati del passato e anche attualmente sono credenti, ma
la fede riguarda la sfera personale e quindi in genere non interferisce con l’elaborazione
delle teorie, dei concetti e della ricerca. Spesso dei religiosi sono stati e sono dei grandi
scienziati, anche in campi delicati, come l’antropologia o la teoria dell’evoluzione
darwiniana. Lo Stato deve essere laico e deve quindi dare a tutti, credenti o non credenti, la
possibilità di realizzarsi nel modo migliore in ogni capo della cultura e del sociale, compresa
la scienza.

Cosa pensa dell’aborto ? E’ una scelta della madre o un medico credente ha il diritto di
non praticarlo?

L’aborto non è una scelta della madre e del padre, anche se la madre ha sempre un ruolo
centrale. Si tratta sempre di un dramma vissuto dalla persona umana, spesso a causa di
condizioni sociali che impediscono di portare a compimento una gravidanza (non parlo
ovviamente dei casi di malattie genetiche o di malformazioni congenite in cui l’aborto è un
diritto di tutti). Anche in questo caso, un medico credente ha il diritto all’obiezione di
coscienza e di non praticare l’aborto, ma lo Stato nel suo complesso è laico e deve fornire le
strutture e necessaria assistenza per quanti decidono di applicare la legge sull’interruzione
volontaria della gravidanza.

Testamento biologico. Qualche tempo fa si è fatto un gran parlare di questo
argomento. Si è tentato di promulgare una legge per regolarlo. Ci spiega cosa è un
testamento biologico? La vita ci appartiene e dunque spetta a noi decidere se
interromperla?

Il testamento biologico è, in effetti, oggetto in questo periodo di un grande dibattito di
civiltà. Personalmente credo che sia non solo giusto ma doveroso promulgare una legge che
possa riconoscere ad ogni persona il diritto di decidere sul modo di morire. L’art. 32 della
Costituzione, dopo aver affermato che la Repubblica «tutela la salute come fondamentale
diritto del cittadino» afferma che «nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge», ma tale legge «non può in nessun
caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Quindi una persona può
rifiutare le terapie che prolungano la sua vita, quando ad esempio non ci sono più possibilità
di poter tornare a vivere con dignità. Il problema si pone quando la persona è incosciente o
non è più in grado di intendere e di volere. In sostanza, il testamento biologico permette di
stabilire in anticipo (‘direttive anticipate’) che una persona non vuole essere “obbligato ad
un determinato trattamento”, come indica la Costituzione. Si tratta quindi di una semplice
dichiarazione che ogni persona può lasciare per iscritto sui limiti da imporre alle terapie e
sul modo che ogni persona vuole per terminare in modo decoroso la propria vita.
Questo non ha nulla a che vedere con il ‘suicidio assistito’. A questo proposito,
personalmente penso che la vita certamente ci appartiene, ma questo non comporta
automaticamente che si sia liberi di decidere se interromperla ad ogni momento, come
voleva ad esempio la filosofia stoica, per la quale cui il suicidio era perfettamente accettato.
La vita è anche un insieme di relazioni con altri verso i quali abbiamo tutti dei doveri e
dobbiamo del rispetto. Il suicidio è sempre una scelta negativa, un abbandono, una rinuncia,
una sconfitta, e va quindi rifiutato come atto per mettere fine a sofferenze o disagi
drammatici. Il testamento biologico ha invece lo scopo di limitare l’utilizzazione, contro la
volontà della persona, di prolungamento artificiale di una vita ormai divenuta non-vita. La
decisione di dare termine a una vita che non è più tale deve restare fra le possibilità di
decisione di ogni persona ed a questo serve il testamento biologico.

Cosa pensa del caso Englaro, la giovane della cui vita-morte si è molto discusso in
Italia ?

Dal punto di vista biologico e medico, la Englaro era morta già da molto tempo. Era
mantenuta in un simulacro di vita da tecniche mediche che, secondo la costituzione italiana,
ogni cittadino ha diritto di voler interrompere. Si è manifestato invece una specie di
“accanimento ideologico” da parte di chi, per posizioni esclusivamente religiose, pensa che
la vita non ci appartenga in quanto deriva direttamente da Dio. Tuttavia, per una persona
laica, o anche per le persone religiose che hanno più sensibilità in questo campo, nei casi in
cui la vita è di fatto terminata e si rimane in uno stato di vita apparente che spesso è peggio
della morte, si deve dare la possibilità che questo stato finisca.
Purtroppo il caso Englaro è stato trasformato da un dramma personale e familiare in un caso
politico, con l’intervento diretto del governo Berlusconi, per lo più con l’evidente idea di
compiacere le gerarchie vaticane. Personalmente rispetto le persone in buona fede e spesso
di grande valore culturale e morale che pensano che la vita appartenga a Dio e che quindi
nessuno possa disporne, ed in particolare decidere la sua fine. Ma quando questo posizioni
dei credenti vengono strumentalizzate per fini esclusivamente elettoralistici la condanna
deve essere forte. Uno stato moderno deve essere laico, e laicità significa al tempo stesso
difendere la libertà religiosa ma anche la libertà di chi religioso non è di vivere secondo i
propri principi morali. In parole povere, nessuno può chiedere ad una persona di rinunciare
alle proprie idee religiose, ma al tempo stesso nessuno può imporre scelte dettate da tali idee
religiose a chi non le condivide.
Un’ultima domanda. Quali sono le principali differenze tra la ricerca scientifica in
Italia ed in Svizzera ?

La differenza principale è l’atteggiamento generale delle autorità politiche e della società
civile. In Svizzera, la cultura e la scienze sono dei valori stimati a livello sociale,
l’innovazione è premiata, favorita e promossa. Inoltre, i meccanismi di finanziamento sono
non solo trasparenti ma sufficienti per assicurare lo sviluppo delle istituzioni di ricerca e
soprattutto dare possibilità ai giovani ricercatori di valore di realizzarsi e di trovare impieghi
stabili conformi al loro valore. Inoltre, l’Università e i Centri di ricerca svizzeri sono
davvero internazionali e molti ricercatori vengono da Paesi differenti per poter svolgere il
loro lavoro nelle migliori condizioni. Lo stesso si può dire per la ricerca industriale, che in
Svizzera è molto sviluppata, soprattutto nell’elettronica, nella farmaceutica e in generale
nelle tecnologie. In Italia, invece, la ricerca industriale che è stata per molti anni dopo la
Seconda Guerra Mondiale all’avanguardia nel mondo, come per il nucleare o in generale le
produzioni di fonti energetiche, la fisica dei materiali, come i transistor e la produzione di
computer per la quale l’Olivetti è stata all’avanguardia per molti decenni, queste tipiche
ricerche industriali sono state svendute perché le industrie che ne avevano bisogno sono
state trasformate in strutture puramente finanziarie, senza capacità di innovazione e di
produzione innovativa. Comunque, a mio avviso la differenza fondamentale è che Svizzera
la scienza e la cultura sono considerati dei valori essenziali della società civile e come tali
sostenuti e finanziati, mentre in Italia la cultura è considerata un lusso inutile. E questo è un
errore grossolano, perché attualmente non c’è momento della nostra vita quotidiana nel
quale la scienza e la tecnologia non svolgano un ruolo determinante. Essere impreparati
culturalmente a questo diventa un limite grave per la partecipazione e la vita democratica.
Intervista realizzata da Giuseppe Plaia