Caso Diciotti, l’autodifesa di Salvini scatena lo scontro fra i poteri dello Stato

Claudio Tito «La Repubblica» 29 Gennaio 2019

Il leader leghista ad agosto si era dichiarato pronto ad affrontare il giudizio dei magistrati, ora se ne vuole sottrarre. Dietro questa retromarcia c’è una scelta politica di chi si sente sopra la legge.

“L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. Questi sono i primi due commi dell’articolo 10 della Costituzione. Due semplici principi che Matteo Salvini e il governo Conte non hanno consultato bloccando o, come dicono i Pm di Catania, “sequestrando” la nave Diciotti. Due commi che ancora adesso il ministro dell’Interno non prende in considerazione organizzando una sorta di autodifesa per evitare l’accusa mossa dal Tribunale dei ministri. Un altro escamotage per difendersi dai processi e non nei processi.

Il punto è che il leader leghista si sta comportando da vero e proprio voltagabbana. Ad agosto si era dichiarato pronto ad affrontare il giudizio dei magistrati, ora se ne vuole sottrarre. E nel giustificare questo valzer di dichiarazioni si appella all’articolo 96 della costituzione invocando un “preminente interesse pubblico” e un “interesse dello Stato costituzionalmente rilevante”. Ma davvero 177 migranti possono determinare un “preminente interesse pubblico”? Un Paese con 60 milioni di abitanti può essere minacciato da 177 disperati? È evidente che non può essere così. E soprattutto non può esserlo se contemporaneamente si viola un altro articolo della Costituzione e le leggi internazionali ratificate dal Parlamento italiano.

Ma, se tali argomenti attengono all’obbligo dell’esecutivo e dei suoi ministri di rispettare la legge (hanno giurato sulla Costituzione), c’è un altro piano che investe la scelta di Salvini di non farsi processare. È una scelta politica. Di chi si sente sopra la legge. La “nuova casta” è questa. Una nuova oligarchia formata da chi ha la pretesa di sentirsi sopra le norme sulla base di una presunta volontà popolare. Se non fosse così, il discorso sarebbe semplice: faccia valere le sue ragioni in tribunale. Se sono giuridicamente valide, prevarranno. L’opzione invece è stata quella di contrapporre la politica alla giustizia. Provocando un ennesimo scontro tra poteri dello Stato.

Il Parlamento e il governo le leggi le possono cambiare. L’unica cosa che non possono fare è violarle. È la differenza tra uno Stato di diritto e l’arroganza del potere. L’emergenza migranti- al di là di dati che il ministro indica in maniera selettiva – è reale. È chiaro ormai a tutti che va affrontata e gestita. Che l’Italia non può farsi carico da sola di un fenomeno globale. Ma è dovere di una democrazia affrontarla e gestirla secondo le leggi e secondo gli accordi internazionali. È vero che l’Unione europea si sta rivelando debole e egoista. Ma pensare di modificare questo pesante e inaccettabile deficit alleandosi con i Paesi – quelli di Visegrad – che tutto vogliono tranne che partecipare alla distribuzione solidale degli extracomunitari, significa solo fare propaganda. Farla a fine elettorali. Esasperando il conflitto e trasmettendo una sensazione di gravità acuita rispetto alla realtà. La realtà adesso è che il governo autoproclamatosi dell’onestà, si scaglia contro i giudici. E il partito che ha ottenuto oltre il 30 per cento dei voti urlando alla battaglia contro la casta – il M5S – ora è alleato contro il partito della nuova casta. E dovrà decidere se tutelare il potere ormai raggiunto in una sorta di misera autoconservazione o ricordarsi delle promesse su cui il Movimento è nato. Ma forse il vero problema è che questa alleanza non ha bisogno di idee o valori permanenti, è solo alla ricerca del consenso per il consenso. Alimenta la tensione e si alimenta da essa senza avere un’idea di un vero sviluppo possibile per l’Italia.